ANTOINE DE SAINT- EXUPERY, Bompiani, 1949

Il Piccolo Principe

Grande libro apparentemente “facile”, di cui i lettori in ogni parte del mondo hanno fatto quello che hanno voluto. Anche devastandolo. Scritto, peraltro, da un uomo per nulla lineare, di cui gli studi biografici stanno rivelando sempre più la complessità psicologica.
Ricordo un acuto commento, peraltro molto divertente, di un lettore sul sito anobii. Diceva, più o meno, tra l’altro, di essere scandalizzato nel vedere l’ultimo “tronista” che tira calci sui denti per farsi largo, proclamare con l’aria più seria e innocente di questo mondo: “Non si vede bene se non col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, una delle frasi di culto del libro. E infatti il rischio che il libro corre è di vedere alcune sue frasi strappate dal contesto e ridotte a massime edificanti da baci Perugina. Terribile rischio, che se forse ha contribuito alla popolarità dell’opera, ne ha anche sminuito il significato, provocando un rigetto che in certe cerchie intellettuali si va, a mio parere, sempre più consolidando.
In realtà questo libro è un testamento sul valore della fedeltà di un uomo che fedele non seppe essere ma sapeva far trasparire nella sua leggerezza un intimo tormento. E le sue donne lo capivano. Quasi per scommessa nacque questo libro ma si incrociò, nello scontento dell’esilio newyorkese, tra le incomprensioni con gli altri esuli francese e un crescente senso di irrequietezza e di vuoto, con due decisioni importanti: tornare a 44 anni a volare su un ricognitore militare delle forze alleate nella Francia occupata (e in una di queste missioni troverà la morte in circostanze tuttora non definitivamente chiarite) e il ritorno, pur non lineare, alla moglie. A lei in una lettera di cui conosciamo fortunosamente un brano grazie alla testimonianza di un amico che l’ha letta (la moglie Consuelo non ha mai pubblicato le lettere del marito) scriveva: “Lo sai, la rosa sei tu. Forse non ho saputo sempre prendermi cura di te ma ti ho sempre trovata graziosa” (P. Webster, Saint-Exupery. Vie et mort du petit prince, Paris, Èditions du felin, 2002, p. 269).
È un libro quindi, scritto da un uomo ancor giovane ma che ha un valore in certo senso ultimativo e, nella sua veste favolistica, grida un’urgenza assoluta, proclama un bisogno che non può essere più eluso per rendere la vita davvero umana. È un libro il cui stile studiatamente per bambini non dovrebbe ingannare: per Saint-Exupery l’infanzia era una realtà molto seria e il recupero etico dell’infanzia un cardine della sua visione del mondo.
L’ho letto per la prima volta a ventidue anni, non l’ho mai considerato quindi un “classico per l’infanzia”, come spesso si ripete, e vi trovai qualcosa che mi apparteneva intimamente ma che nella confusione di quegli anni stentavo a riconoscere. Quando l’ho poi letto e riletto, l’ho visto come un libro “tosto” a cui il genere della fiaba conferisce solo maggiore incisività. Perché al di là di certi facili toni sentimentali, questo è un libro sull’aridità spirituale della società contemporanea (già quella dei primi anni “40 nei quali fu scritto), sull’essenza dell’amicizia come realtà forte della vita, sul cui sfondo ci sono la perdita, il dolore, la separazione, la morte, sul bisogno di prendersi cura dell’altro.
Il piccolo principe vaga per le galassie dopo aver abbandonato una rosa tirannica e sarà solo nello splendido incontro con la volpe che capirà il senso dell’amicizia e della vita.
Tutta la scena si gioca sul verbo, pressoché intraducibile in italiano, “apprivoisier”, “addomesticare”, nel senso in questo caso non di “domare” ma di “rendere domestico, familiare”. La volpe vuole essere addomesticata ma sa che poi, quando il piccolo principe andrà via, soffrirà. La domanda è logica: “perché vuoi soffrire?” Memorabile la risposta: “Vedi laggiù dei campi di grano. Io non mangio il pane e il grano, per me, è inutile… ma tu hai i capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticata. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”. All’addio la volpe soffre ma, alle proteste del piccolo principe (tu hai voluto che ti addomesticassi) risponde: “ci guadagno il colore del grano”.
L’amicizia, l’amore che ne è il culmine, ampliano la nostra dimensione interiore ma bisogna avere il coraggio di rischiare e di perdere qualcosa: le pigre sicurezze di chi si rifugia in schemi mentali collaudati portano a conoscere solo il già noto.
La volpe resterebbe a inseguire in eterno le sue galline. La vera fedeltà è un grande viaggio di scoperta innanzitutto di noi stessi, non la lineare prosecuzione di un percorso avviato. Allora il piccolo principe capisce che è il tempo che ha dedicato alla sua rosa che la rende tanto importante e il suo ritorno ha il sapore di una riscoperta.. E guardando un prato di rose, può dire che gli risultano insignificanti perché non le ha curate, non ha sofferto per loro, non le ha protette dal gelo, non le ha “addomesticate”.
Ed è qui il senso profondo del libro, in questa etica del coinvolgimento e della responsabilità che cozza contro una concezione sempre più diffusa basata sulla visione dell’amicizia come distrazione e divertimento, da considerare con distaccata leggerezza, nella quale “il problema” dell’altro ci fa sempre più paura perché vi vediamo specchiata la nostra dimensione profonda, e quindi sempre inquietante, che vogliamo sempre più esorcizzare.
Ma solo la capacità di vedere un mondo rovesciato con gli occhi di un bambino, di cui il libro fornisce numerosi e simpatici esempi, può indurre a questa visione sostanzialmente dura, per nulla consolatoria ma non desolata: dietro l’amicizia vera, dietro l’amore vero, ci sono la capacità di mettersi in gioco, il rischio della perdita. Ma resterà sempre il colore del grano, un nuovo senso strappato alle cose al di là della pigra consapevolezza di un’esperienza già vissuta.

L'Autore

Antoine De Saint-Exupery, aviatore e scrittore francese, nacque a Lione nel 1900 e morì nei cieli sul Tirreno durante una missione di ricognizione militare nel 1944.
Tra le sue opere, sempre a metà tra la narrazione e la riflessione etica, ricordiamo: “Corriere Sud” (1928), “Volo di notte” (1931), con una prefazione di André Gide, “Terra degli uomini” (1939) e “Pilota di guerra (1942). Del 1943, scritto a New York, è “Il piccolo principe”, che ne consacrerà la notorietà in tutto il mondo, mettendo però anche in ombra agli occhi del grande pubblico il resto della sua opera. Moralista nel senso francese del termine, cioè acuto ed incisivo osservatore dei costumi e dei valori della sua epoca, Saint-Exupery ha lasciato anche una raccolta di meditazioni e pensieri che saranno pubblicati postumi, nel 1948, con il titolo “Cittadella”.