Fa uno strano effetto riprendere in mano questo libro del 1990, nella sua edizione ampliata, di un autore tra i più vitali e comunicativi del cattolicesimo italiano. Si ha la sensazione che per quasi vent’anni ci siamo attardati in stanche discussioni identitarie senz’alcun colpo d’ala, nessun guizzo intellettuale e spirituale che davvero riuscisse a riavvicinare gli uomini.
Padre Balducci, scolopio, non fu un teologo e pensatore sistematico, ma uomo di buoni studi e buone letture (autore anche di un manuale scolastico di filosofia) e dotato di un estro polemico e una sensibilità culturale che gli facevano cogliere ed esprimere i problemi con chiarezza e senza le sfibranti mediazioni di tanta prosa cattolica. Negli ultimi anni di vita (morirà a 69 anni nel 1992 per le conseguenze di un grave incidente automobilistico), Balducci rifletteva sul significato delle appartenenze nel nuovo clima di fragilità della terra e dell’uomo, sul contributo delle religioni alla creazione di un uomo che abbracciasse in sé i valori del pianeta intero, un uomo “planetario” appunto.
Ne nacque questo agile volume dal taglio ben definito, che scorre lucido sul filo di un argomentare stringente animato da una forte urgenza etica. La prospettiva è chiara sin dal primo capitolo, “La salvezza nella prospettiva del duemila”, dove è già evidente la carica dirompente del libro: “Quando gli imperativi della coscienza e la stretta della necessità vitale vanno nello stesso senso, allora si ha una nuova possibilità di sintesi tra libertà e natura… La certezza di questa possibilità è la fede di cui sto parlando. Una virtù laica, come ho detto, che è insieme il modo storico di esercitare la fede teologale”.
Seguono poi diversi capitoli di presentazione delle religioni attuali, non in chiave storico-critica, anche se la selezione delle informazione è accurata, ma in funzione della domanda che regge il libro: cosa ostacola e cosa facilita nelle diverse tradizioni religiose come si sono storicamente costituite l’apertura verso un nuovo modello di uomo in cui le fratture identitarie siano superabili senza generare il senso di un rinnegamento e di una mortificante omologazione. In ogni religione l’autore cerca quelle esperienze o potenzialità che possono costituire le premesse di quell’uomo planetario che solo potrà reggere le sfide del XXI secolo che si prospetta. Si tratta quindi di una ricostruzione da una visuale molto precisa, che presuppone nel lettore conoscenze di base che permettano il confronto con l’ardito tentativo dell’autore.
Nell’ultimo capitolo Balducci raccoglie e rilancia gli spunti seminati nel corso della sua analisi. Lungi dalla sua intenzione proporre quello che comunemente si chiama in storia delle religioni “sincretismo”, e che in area cattolica assume una connotazione particolarmente dispregiativa, cioè una religiosità composta da elementi eterogenei di diverse tradizioni religiose mal combinati tra loro. Il discorso di Balducci è un altro, più maturo e più radicale: “Quella che io propongo non è la distruzione delle identità tradizionali, è l’opzione per un’identità nuova in cui potenzialmente si ritrovino tutte le identità elaborate dal genere umano nel suo lungo cammino. Ha poco senso, per me, il trapasso da un’identità all’altra di quelle che formano il volto policromo dell’umanità attuale… l’uomo vero a cui dobbiamo ormai convertirci non sta lungo il perimetro delle culture esistenti, sta più in alto, ci trascende, con un trascendimento che è già inscritto nelle possibilità storiche, anzi già prende forma, qua o là”.
Nella prospettiva di Balducci le stesse religioni si potrebbero vedere come un frammento di quella Verità che tutti ci trascende, ed è concezione molto ardita in ambito cattolico. Commentando l’apologo zen secondo il quale il principiante sa che le montagne sono montagne e le acque sono acque, poi perde questa certezza e la riconquista nella terza fase, Balducci osserva che la fase pericolosa è la seconda, quando lo smarrimento del principio di identità può portare a una negazione distruttiva per sé e per gli altri. Ma la riconquista della certezza non è quella della prima fase perché adesso l’individuo di nuovo “sa che la giusta forma religiosa o culturale è quella in cui è cresciuto. Solo che ai suoi occhi non è più quella che era. Da orizzonte che tutto chiude è diventata semplice punto di appoggio e di orientamento per la ricerca di una nuova dimensione dello spirito”.
La cultura delle appartenenze, sopravvissuta gagliarda alla fine delle ideologie, trascolora così in una cultura che potremmo definire dell’espansione identitaria: cioè si conosce e si vive la propria tradizione, religiosa, laica, marxista (in quel periodo era ancora una semi-religione), ma non la si considera un assoluto perché la stessa conoscenza ci induce a credere che tutti apparteniamo a una Verità più grande che ci sovrasta, e più superiamo la tentazione esclusivista, essendo noi stessi senza escludere l’esperienza di altri, più siamo disposti a essere solidali con i nostri compagni di viaggio, non per impulso sentimentale ma per consapevole adesione al ritmo della storia e della vita. Applicato alle religioni, questo discorso può apparire incline a un relativismo in cui le certezze di fede si stemperano totalmente. Bisogna però ricordare che anche nelle religioni monoteiste, nelle Scritture ebraiche, nel Nuovo Testamento cristiano, nel Corano, Dio resta sempre al di sopra dell’interpretazione umana, conserva un margine di mistero che rende le sue intenzioni e il suo agire a un certo livello insondabili e questa sua grandezza assoluta rispetto alla mente umana costituisce anche un argine rispetto a ogni irrigidimento di tipo che oggi chiamiamo fondamentalista.
Nell’edizione del 1990 questa riflessione giunge al suo culmine perché il 27 ottobre 1986 c’è stato l’incontro tra le grandi religioni del mondo ad Assisi, fortemente voluto da papa Giovanni Paolo II e vissuto con perplessità ed inquietudine in diversi settori del mondo cattolico, gerarchia e fedeli. Le riflessioni di Balducci sono incisive: “Finché un buddista, un musulmano, un cristiano pregano da soli, hanno per sé tutto l’orizzonte, si muovono nell’infinito senza intralci, si illudono di parlare a Dio, all’unico vero Dio, in nome di tutto il mondo. Ma messi gomito a gomito, essi sono costretti a lottizzare il mistero e quindi a rendere flagrante la contraddizione tra l’unità indivisibile dell’Essere e la molteplicità delle rappresentazioni, tra il Dio in sé e il Dio per noi.”
La “lottizzazione” del mistero si può superare, secondo Balducci, soltanto recuperando una “comunione creaturale” tra gli esseri umani delle diverse religioni in nome del valore trascendente della pace. Testimonianza secondo la propria fede e la propria cultura da una parte, apertura al mistero e all’universale dall’altra. In un mondo in cui la cultura laica ha rivelato anch’essa, in un razionalismo scientifico senza limiti, il suo volto di morte, si aprono, per le religioni spazi di senso impensati. Solo che si abbia il coraggio intellettuale ed etico di esplorarli.